Eh sì, quest’anno spegneremo 20 candeline!

La mia appartenenza alla comunità ha però inizio qualche anno dopo. Nel 1998 facevo la mia prima esperienza in missione: tutto è cominciato alla soglia dei trent’anni quando ho iniziato a pormi quelle domande esistenziali che non ti facevano stare tranquilla! Io, cristiana solo la domenica per l’oretta della Messa, ho sentito il desiderio di una chiacchierata seria con il mio parroco, dove gli ho raccontato tutto quello che mi inquietava in quel periodo, e lui, tra le altre cose, mi ha invitata a frequentare l’oratorio e ad occuparmi dei bambini. Ho accettato l’invito e da lì ho iniziato a sentirmi parte di una comunità che mi accettava per quello che ero, con pregi e difetti. Pian piano sono entrata a far parte di altri gruppi parrocchiali tra i quali il gruppo missionario.

Una sera, durante un incontro decanale ho conosciuto “per caso” una Suora della Purificazione, missionaria in Brasile che, quasi per scherzo, mi ha invitata ad andarla a trovare nella sua missione. La mia reazione è stata subito quella di dire: “Ma io cosa posso fare?” e quindi ho declinato l’invito; questa suora però mi aveva lasciato comunque un numero di telefono per contattare l’organizzatrice del gruppo che l’estate successiva sarebbe partita per il Brasile. Anche se dentro di me sorgevano tante paure e soprattutto un grande senso di inadeguatezza, quell’invito non mi aveva lasciata indifferente; intanto il tempo passava… nell’indecisione! Poi un articolo scritto da quella stessa suora con il quale salutava la sua comunità per tornare in missione, mi ha dato una scossa e mi sono decisa a fare quella telefonata e, anche se avevo ancora addosso tutte le mie paure, sono partita per São Luis do Maranhao (Brasile nord-est).

In questa prima esperienza l’impatto con la realtà del posto è stato un vero e proprio pugno nello stomaco. Fra il sapere che esiste la povertà estrema là, da qualche parte, e vederla con i propri occhi, tanta è la differenza: l’ho toccata con mano proprio in Brasile, dove visitavamo le famiglie che usufruivano del sostegno a distanza dall’Italia, le più povere del quartiere.

Tornata dal Brasile sono ripiombata nella vita parrocchiale e mi sembrava di non avere tempo per altro. Ancora “per caso” ho incontrato una persona che mi ha parlato del cammino di Giovani e Missione organizzato dal PIME e dalle Missionarie dell’Immacolata. Ho voluto conoscerlo meglio e ho fissato un appuntamento con uno dei responsabili. In quel breve scambio ho sentito che c’era qualcosa che faceva vibrare il mio cuore e che quell’ambiente doveva far parte della mia vita: ho iniziato così Giovani e Missione.

L’estate successiva mi è stato proposto di tornare nella stessa missione in Brasile; avevano organizzato un campo di lavoro per l’ampliamento di una delle scuole gestita dalle suore. Ho accettato subito l’invito (ormai eravamo diventati un gruppo di amici!) e devo dire che quella è stata un’esperienza particolare perché eravamo in una casetta vicina alla scuola, in mezzo alla gente; dopo il lavoro, i muratori brasiliani venivano da noi a bere una cerveja (birra) insieme: alla sera c’era sempre qualcuno che veniva a farci visita… un’esperienza umana davvero unica.

Dopo quell’estate ho deciso di iniziare il Cammino Vocazionale, sempre organizzato dal PIME. Improvvisamente, per il mese di agosto mi venivano fatte due proposte per un esperienza in missione: una ancora in Brasile, presso la stessa missione e con le stesse persone; l’altra dalle Missionarie dell’Immacolata, con destinazione ancora da definirsi e compagni di viaggio ignoti! In quel periodo la Parola di Dio che mi risuonava dentro era tratta dall’episodio del giovane ricco al quale il Signore chiedeva di vendere tutto e di seguirlo.

Cosa chiedeva il Signore a me? La missione è affidarsi a Qualcuno di più grande di noi e a me era chiesto di lasciare tutte le mie paure (che comunque c’erano ancora) e anche tutte le mie certezze e punti fermi (io ne ho tanto bisogno!). Mi sono affidata e sono arrivate una nuova destinazione e una nuova compagna di viaggio: il Camerun, insieme a un’altra ragazza del cammino vocazionale.

In Camerun ho potuto vivere la missione in modo diverso. Lì ho potuto conoscere lo stile delle MdI e devo dire che me ne sono innamorata: l’apertura e l’accoglienza verso tutti, la loro disponibilità, l’essere sempre in mezzo alla gente, il parlare la lingua locale e, cosa più importante, la promozione umana: tutto questo mi ha fatto capire che quello era proprio l’ambiente che faceva per me. Una volta tornata a casa avrei cercato un cammino che mi facesse sentire a casa: ma non mi sarei accontentata di iniziarne uno a settembre e concluderlo a giugno, come avevo fatto fino ad allora; avrei cercato qualcosa che coinvolgesse tutta la mia vita. Mi venne proposto, dalle suore Missionarie dell’Immacolata, di far parte del loro Gruppo Laici. All’epoca, non sapevo dell’esistenza di gruppi laici legati ad Istituti Missionari. La proposta mi aveva lasciato un po’ perplessa,. ma ho voluto comunque partecipare ad uno dei loro incontri. Per me è stato amore a prima vista. Pur nella difficoltà di non conoscere nessuno e non capire bene cosa stessero facendo, mi sono sentita finalmente a casa… E così, tra momenti di sconforto e difficoltà ed altri di entusiastico slancio, sono diventata membro di questo gruppo che negli anni ha preso il nome di Comunità Laici MdI.

Sono passati vent’anni dalla fondazione della Comunità Laici MdI; in questi anni abbiamo sviscerato il tema della missione ad gentes, abbiamo studiato, approfondito, meditato e pregato; tanti di noi hanno fatto brevi esperienze sul campo… Ora è arrivato il momento di mettere in pratica quello che abbiamo imparato, magari in un progetto di collaborazione con le suore in missione. Per il momento è un sogno, una piccola luce che si vede solo con gli occhi del cuore, ma, come diceva madre Giuseppina Dones, “Se Dio vuole si farà”!

Roberta Corbetta- Comunità Laici MdI Italia

 

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