EDITORIALE
Si svolge a Milano fino al 2 ottobre la seconda edizione del Festival della Missione, promosso dagli Istituti missionari in Italia, da Fondazione Missio e dall’arcidiocesi di Milano. Un tentativo importante di rimettere al centro l’ad gentes, partendo dalla lunga tradizione italiana che ha visto, negli ultimi due secoli, molti connazionali annunciare il Vangelo in terre lontane e sconosciute. Una storia di rilievo anche per il rimando culturale, sociale, di preghiera e di sostegno con cui hanno saputo provocare le nostre comunità. Oggi ci troviamo a celebrare la missione in un contesto totalmente cambiato: la società è sempre più multietnica e multireligiosa; il tessuto della tradizione cattolica va riducendosi se non sfaldandosi; sacerdoti, religiosi e religiose da altri continenti popolano le nostre parrocchie visto il calo drastico delle vocazioni nostrane.

Di fronte a questo panorama così radicalmente mutato viene inevitabilmente da domandarsi: vale ancora la pena partire per andare ad annunciare la Buona Notizia in un Paese lontano che, il più delle volte, ha già una Chiesa strutturata localmente? Spesso sento dire da persone di cui ho stima e di cui conosco lo spessore di fede che un’esperienza di missione come quella del Pime oggi servirebbe anche qui. Al di là di risposte nette e categoriche, inutili di fronte alla complessità del mondo attuale, penso sia bene dire che ha ancora senso l’annuncio alle genti, soprattutto laddove la Chiesa locale ha un reale bisogno dell’apporto di missionari per essere fondata o rafforzata, o dove è richiesta la nostra presenza per competenze specifiche. Eppure oggi anche noi missionari non possiamo non porci la domanda sulla necessità di annuncio che tocca profondamente anche la nostra terra di origine. Quanti giovani e adolescenti sono privi di una semplice formazione cristiana che è il terreno base da cui può nascere la fede? Quante sono le comunità parrocchiali che si sentono disorientate di fronte al mutare radicale della situazione e non sanno come rispondervi? Credo che oggi davvero il campo della missione sia il mondo, dentro al quale ci sono anche le nostre città, che sono diventate terra di semina del Vangelo. Confinare il tema della missione a chi raggiunge un Paese lontano è ormai puro anacronismo. E forse l’esperienza di chi ha operato per molti anni in contesti lontani potrebbe aiutare molto l’annuncio anche qui. Che lo Spirito Santo illumini la Chiesa intera, quindi ognuno di noi, per capire come muovere nuovi passi in questa realtà inedita.

Mario Ghezzi, Mondo e Missione di Ottobre 2022

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