Guardiamoci intorno.

Gli italiani doc non sono più i soli a vivere i quartieri, a frequentare le classi di scuola,

a lavorare in aziende, a vivere l’Italia.

Volenti o nolenti, siamo oramai un paese sfumato dall’interculturalità.

Senza creare allarmismi, sono 800.000 i ragazzi e le ragazze che, nati e cresciuti qui, si sentono italiani.

Non hanno però il diritto di esserlo.

La concessione della cittadinanza italiana ai figli di persone straniere è un argomento attuale che non nasce in risposta all’emergenza immigrazione, ma alla realtà dei fatti che ormai da anni ci riguarda. Pubblicando le foto delle classi scolastiche italiane, La Repubblica svela:

«In Italia uno studente su dieci è straniero. Ma ci sono classi in cui la presenza di figli di immigrati supera il 50 per cento. Ad anno scolastico appena cominciato, dopo un’estate che sembrava avere chiuso ogni spiraglio a Ius soli temperato e Ius culturae, si è tornati a ipotizzare un voto parlamentare definitivo per la legge – passata alla Camera due anni fa – che dovrebbe dare cittadinanza ai bambini e ai ragazzi nati in Italia o a quelli che qui abbiano compiuto almeno un ciclo di studi, circa 800mila giovani. La prospettiva in queste ore sembra invece tramontare di nuovo. Eppure, guardando le foto di classe scattate da Torino a Palermo, passando per Genova, Prato, Bologna e Roma, appare evidente che lo Ius soli nel nostro Paese è già una realtà».

Non è allora un caso, forse, che la protesta alla mancata approvazione della legge sia partita dagli insegnanti. Non senza fatiche, in questi anni i docenti hanno dovuto allargare lo sguardo. Anche per questo manifestano il desiderio di valutare con più coscienza le effettive potenzialità delle classi interculturali. Scrive un insegnante su Internazionale:

«Gran parte delle classi delle nostre scuole dell’infanzia, primarie e secondarie presentano forti elementi di disomogeneità, non solo per lingua o provenienza geografica. Il nodo culturale che ciascuno di noi insegnanti è chiamato ad affrontare riguarda allora quale atteggiamento avere di fronte al grande lavoro che questa condizione di partenza comporta. Se ne vediamo solo la fatica, che indubbiamente esiste, siamo spacciati. Se invece pensiamo che le ragazze e i ragazzi che popolano le nostre classi guardano il mondo da punti di vista diversi, questa straordinaria disomogeneità può trasformarsi in una risorsa preziosa per conoscere e capire meglio la realtà che ci circonda».

La disinformazione non ha certamente aiutato nello sviluppo di un dibattito concreto e utile. Avvenire ha cercato di spiegare il contenuto della nuova proposta di Legge. Gli allarmismi sembrerebbero inutili:

«Con l’entrata in vigore della nuova legge (attualmente in Aula al Senato), i bambini nati in Italia da genitori stranieri possono acquisire la cittadinanza italiana se uno dei genitori è titolare di diritto di soggiorno illimitato oppure di permesso di soggiorno dell’Unione Europea per soggiornanti di lungo periodo.

Non esiste quindi nessun automatismo generalizzato, ma in entrambi i casi il requisito è una permanenza di almeno 5 anni. Nel caso di cittadini Ue, infatti, il diritto di soggiorno permanente è riconosciuto a chi abbia soggiornato legalmente in via continuativa per 5 anni in Italia. Nel caso di cittadini extra Ue, il permesso per soggiorno di lungo periodo è rilasciato a coloro che sono titolari da almeno 5 anni di un permesso di soggiorno in corso di validità. Necessari altri tre requisiti dei genitori extracomunitari: alloggio idoneo a termini di legge, superamento di un test di conoscenza della lingua italiana e reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale. Da questo permesso sono esclusi gli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

I minori stranieri nati nel nostro Paese o arrivati entro i 12 anni di età possono diventare italiani dimostrando di aver frequentato regolarmente almeno 5 anni di percorso formativo. Possono essere uno o più cicli scolastici, oppure corsi di istruzione professionale triennali o quadriennali che diano una qualifica. Nel caso sia la scuola primaria, essa deve essere completata. Si tratta del cosiddetto ius culturae.

La domanda va presentata da uno dei due genitori entro il compimento della maggiore età del figlio, altrimenti potrà essere presentata dal diretto interessato diventato maggiorenne, che avrà due anni di tempo per farlo.

Se un minore arriva in Italia con genitori stranieri dopo i 12 anni di età, può diventare cittadino italiano dopo 6 anni e il superamento di un ciclo di studi».

Nessun paese regala la cittadinanza. Appare tuttavia giusto riconoscerla a chi, per lingua, cultura, valori, pur avendo gli zigomi del viso o il colore della pelle diversi, è veramente italiano. È bello concludere con le parole di Monsignor Bassetti, presidente della CEI, il quale, sognando l’integrazione dice:

«Penso che la costruzione di questo processo d’integrazione possa passare anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza, che favorisca la promozione della persona umana e la partecipazione alla vita pubblica di quegli uomini e quelle donne che sono nate in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé».

Letti e commentati per voi:

A. Guerrieri, Cittadinanza. Ius soli e ius culturae: cosa cambierebbe con la nuova legge, in Avvenire, 18 settembre 2017.

F. Lorenzoni, Perché gli insegnanti devono sostenere la battaglia per lo ius soli, in Internazionale, 18 settembre 2017.

E. Galli della Loggia, Noi, i migranti e lo ius soli: i dubbi che sono legittimi, in Il Corriere della Sera, 23 settembre 2017.

AAVV, Da Torino a Palermo: nelle foto di classe lo Ius soli è già realtà, in La Repubblica, 26 settembre 2017.

AAVV, Bassetti (Cei), integrazione passa anche per Ius soli, in Ansa, 25 settembre 2017.

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