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Quando è arrivata a Watuluma, in Papua Nuova Guinea, suor Vimala, missionaria dell’Immacolata indiana, ha avuto la sensazione di essere in capo al mondo. Poi, quella terra e la sua gente sono diventate casa.

Da bambina era affascinata dalle storie dei missionari che partivano per luoghi lontani e sconosciuti e dalle figure dei martiri che avevano donato le loro vite. «Anch’io volevo diventare suora e andare in missione in posti lontani – si sovviene suor Vimala Francis missionaria dell’Immacolata, 46 anni, originaria del Tamil Nadu (India) -. Sia a catechismo che a casa, eravamo soliti leggere storie di martiri che avevano offerto la loro vita per Dio. Tutto questo mi ispirava: sentivo dentro di me qualcosa che mi smuoveva. Ero decisa ad andare lontano pure io per offrire la mia vita».
Lontano certamente ci è arrivata, visto che ora suor Vimala è missionaria all’altro capo del pianeta, in Papua Nuova Guinea, dove vive da quasi 15 anni e dove, da qualche mese, ha assunto il ruolo di responsabile provinciale. «Sono felice di tornare – ci dice da Roma alla vigilia della sua partenza -; so che la mia gente mi vuole bene e anch’io gliene voglio molto».
È soprattutto di gioia che parla oggi suor Vimala. Gioia di una vita condivisa con persone molto diverse da lei, per cultura, lingua, tradizioni, religione, in un contesto che la costringe a rimettersi sempre in gioco. «Da un’isola all’altra cambia tutto o quasi. Idioma e costumi sono differenti, e anche il contesto sociale, che in alcuni casi è segnato da situazioni di violenza e di droga. Ma sento sempre che quello che io e le mie consorelle facciamo qui è un cammino insieme alla gente. Che è sempre molto accogliente: ci accetta anche se siamo straniere; apprezza il nostro lavoro e ci supporta nella nostra missione».

Il percorso che l’ha portata in Papua Nuova Guinea è stato molto lungo. E non solo per motivi geografici o perché il primo viaggio l’ha fatto in nave: una traversata di un giorno intero sempre distesa a causa del mare grosso.
Dopo la prima fascinazione infantile, infatti, suor Vimala è cresciuta con altri interessi e sogni. Poi, alla fine delle scuole superiori, una domanda si è di nuovo insinuata nel suo cuore: continuare a studiare o diventare una religiosa? A 17 anni non è una scelta facile. «A casa non ne avevo mai parlato. Nessuno pensava che potessi farmi suora. Mi sono confrontata con una religiosa, che mi ha messa di fronte alla realtà e alle implicazioni che quella scelta comportava. Mi ha riportata con i piedi per terra. In effetti non è stato facile, innanzitutto allontanarmi dalla mia famiglia da cui non mi ero mai staccata. È stato doloroso».
Nella casa delle Missionarie dell’Immacolata di Hyderabad incontra, però, delle «formatrici straordinarie, molto attente alle mie fragilità e sempre pronte a incoraggiarmi. Ho sentito che avevano molta cura e attenzione per me».

Quando poi si trasferisce nella casa di formazione, sperimenta per la prima volta la bellezza e la difficoltà di vivere insieme a persone diverse. «Anche se eravamo tutte indiane, venivamo da posti con lingue, culture, stili di vita, cibo e abitudini molto differenti. Ho cercato di adattarmi alla situazione e forse anche la Grazia di Dio mi ha aiutata a viverne i lati positivi. Sentivo di essere felice della vita che avevo scelto».
Durante la formazione, suor Vimala incontra molte di quelle che diventeranno sue consorelle e che a quel tempo venivano a condividere la loro testimonianza e le loro esperienze di missione. Erano di nazionalità diverse e avevano vissuto in vari Paesi: Brasile, Papua Nuova Guinea, Italia, Africa… «Quei racconti mi colpivano molto. Ma soprattutto mi colpiva la gioia con cui parlavano della loro vita missionaria. Sentivo che erano felici, nonostante le difficoltà che vivevano. Ma le loro vite erano piene di Dio. Desideravo partire ed essere come loro».
In realtà, quando è diventata suora, la sua prima destinazione è stata… l’India! «Ma nel posto più lontano in assoluto: Goa. Ho pensato fosse un segno: sono diventata suora il 3 dicembre, festa di san Francesco Saverio; e sono stata destinata alla terra in cui Saverio era approdato durante il suo lungo viaggio verso Taiwan e dove è sepolto nella chiesa dei gesuiti. Ancora oggi c’è una speciale devozione per lui». A Goa, suor Vimala trova una piccola comunità di suore e uno stile di vita molto diverso, segnato dalla presenza coloniale portoghese, ma anche da una lingua locale molto difficile da imparare, il konkani.
«Le mie consorelle mi incoraggiavano e anche la gente mi ha accettata e motivata a inserirmi e a sentirmi una di loro. Insegnavo catechismo e visitavo famiglie, malati e anziani a cui portavo la comunione. Sentivo di aver fatto la scelta giusta».

Dopo due anni, un nuovo cambiamento: suor Vimala viene mandata a studiare per ottenere il baccalaureato. Intanto, il suo desiderio di andare fuori dall’India si fa sempre più forte anche se, a quel tempo, erano ancora poche le missionarie indiane che venivano mandate all’estero. Finché, nel 2006, è arrivata la proposta della Papua Nuova Guinea: «Non me lo aspettavo. Ero felicissima!».
La traversata se la ricorda ancora. Era la prima volta che affrontava il mare; aveva molta paura e stava male. Doveva in qualche modo essere una sorta di “battesimo” per la nuova vita che l’aspettava in un Paese che è composto da centinaia di isole. E, in un modo o nell’altro, con il mare doveva farci i conti. Port Moresby, Alotau e Watuluma sono state le prime tappe della sua presenza in Papua Nuova Guinea. «Quando sono arrivata a Watuluma – ricorda – ho avuto l’impressione di aver raggiunto la fine del mondo!».
Ma poi quella “fine del mondo” è diventata presto casa sua. Lì è rimasta per tre anni: ha insegnato nella scuola delle Missionarie dell’Immacolata e ha creato un gruppo giovanile: il Pime Youth Group, che aveva come principale obiettivo quello dell’animazione vocazionale e della liturgia. Composto da ragazzi e ragazze, il gruppo è ancora molto attivo: i giovani si recano anche negli ospedali, fanno visite nei villaggi, pregano per le missioni e, una volta la settimana, si riuniscono e organizzano molte attività nella scuola.

«Sono stata molto bene – ricorda suor Vimala -. Mi piaceva molto stare con gli studenti e c’erano relazioni buone con la gente. L’unico vero grande problema era riuscire a comunicare fuori di lì. Non c’era corrente elettrica e il generatore veniva usato poche ore solo per la scuola. Non c’era tv né radio: non avevamo nessuna notizia di quello che succedeva nel resto del mondo. Non c’erano mezzi di comunicazione. La cosa che mi pesava di più era non poter comunicare con la mia famiglia. Scrivevo delle lettere, che arrivavano a destinazione dopo mesi. Lo stesso le risposte. Molto raramente si faceva una telefonata perché era molto costoso. Una volta all’anno andavamo ad Alotau. Non era facile vivere in quell’isolamento».
Dopo tre anni, dall’isola di Goodenough viene trasferita alle alture di Mount Hagen, dove suor Vimala e un’altra suora hanno aperto un nuovo convento nel 2012 per poi rimanervi nei successivi nove anni. «Un’altra volta diversi costumi, tradizioni, lingua, riti… Insegnavo anche lì nella scuola e ho imparato bene il pidgin. Facevo visite familiari e ho condiviso molto tempo e iniziative con giovani e donne, facendo anche lavoro pastorale e animazione vocazionale nei villaggi e in tutta la provincia».

Tra le molte iniziative messe in campo nella nuova comunità di Fatima, c’è stata anche la creazione, nel 2016, di una scuola per ragazzi e ragazze che non potevano continuare gli studi nel percorso pubblico. La sollecitazione era arrivata dal vescovo locale per dare un’opportunità ai tanti giovani che, non potendo frequentare la scuola, finivano in strada o, peggio, nei giri della droga, che è un problema molto diffuso. «Per me è stato come realizzare un sogno!», dice suor Vimala. I frutti sono ancora ben evidenti: il centro è frequentato da molti ragazzi che hanno così la possibilità di terminare gli studi e di frequentare l’università o di cercare un lavoro con maggiori competenze.

Suor Vimala e le sue consorelle hanno sostenuto anche un’iniziativa locale per la risoluzione dei conflitti tribali – «un programma che mira a riportare la pace e a ricreare le basi per vivere insieme come fratelli e sorelle» -, ma si sono occupate anche di questioni molto delicate e sensibili come gli abusi sui minori, le madri single e la poligamia: «Nel nostro piccolo cerchiamo di creare consapevolezza per ridurre queste problematiche».
Ora suor Vimala è provinciale delle Missionarie dell’Immacolata in Papua Nuova Guinea dove operano 30 suore provenienti da svariati Paesi: India, Brasile, Bangladesh, Italia, presenti in otto comunità. Cresce il numero delle papuane, attualmente 16 (più alcune in formazione), che sono, a loro volta, missionarie in altri Paesi: Brasile, Algeria, Camerun, Italia e due in attesa di partire per Bangladesh e Guinea-Bissau. In uno spirito di scambio, condivisione e apertura che continua a segnare anche la missione sempre nuova di suor Vimala.

Anna Pozzi, Mondo e Missione di dicembre 2021

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