Troppo spesso confondiamo la fede con una pastiglia di ansiolitico, un biglietto vincente alla lotteria o un prestito a basso tasso di interesse elargito dalla banca…“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Oggi partiamo da qui, da questo grido di Gesù sulla croce un istante prima di rendere lo Spirito al Padre. Un grido che raccoglie tutte le nostre solitudini e i nostri sensi di abbandono. Una domanda che alberga nel cuore del mondo intero in queste settimane flagellate dal Covid-19. Dalle Filippine padre Simone Caelli ci racconta di centinaia di persone che si affollano ai cancelli della sua parrocchia a Manila per chiedere qualcosa da mangiare perché il lockdown le ha lasciate senza lavoro. In Uganda ci si attende che i 10 mila decessi annuali per malaria aumentino di molto come effetto collaterale del virus. Il Pil dell’Italia potrebbe scendere del 9% e in Africa la recessione potrebbe durare per i prossimi 25 anni. A farci paura non sono solo il contagio, ma anche tutte le incalcolabili conseguenze che ha portato e porterà. Sì, possiamo dirlo che ci sentiamo abbandonati come Gesù in croce, senza sapere come muoverci e dove guardare. Eppure, appena allarghiamo lo sguardo ci rendiamo conto che soli non siamo. Non lo siamo perché Colui che gridava dalla croce è Dio stesso, e questo è il segno che Dio abita la fatica e la sofferenza dell’uomo.

Troppo spesso confondiamo la fede con una pastiglia di ansiolitico, un biglietto vincente alla lotteria o un prestito a basso tasso di interesse elargito dalla banca. E, perché no, magari un intervento risolutivo che spazzi via di colpo il virus dal pianeta. Ma anche Gesù ha dovuto fare un passo fondamentale per poterci indicare la strada verso la Risurrezione: decidere di affidare tutto al Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.

È solo dentro questo affidamento totale che possiamo permetterci di rimanere lieti dentro le pareti di casa che si fanno sempre più strette, ascoltando notizie che parlano di morte e malattia, disoccupazione che dilaga e speranze che sembrano scomparire. Un cuore lieto è un cuore affidato, che sta nelle fatiche senza disperare perché sa che Dio è presente proprio perché è inchiodato alla fatica insieme a noi. Societ in Cambogia l’aveva capito bene. Mamma con tre figli, con un matrimonio semi fallito alle spalle, ha sempre dovuto lottare con la depressione. Da buddhista affrontava la situazione con le pastiglie, ma trovava solo una pace chimica. Da qualche anno è cristiana, una delle più convinte che abbia conosciuto. Ha fatto della carità la sua professione, tra malati e diseredati, veleggiando con la sua motoretta a distribuire sorrisi o lacrime. «Se ridi, rido con te, se piangi, piango con te». La sua fragilità è diventata strumento di grande empatia, che le permette di farsi prossima. Oggi dice: «So che devo ricorrere ai farmaci di tanto in tanto, ma nulla è più efficace della presenza di Gesù nella mia vita». Allora, dopo lo stordimento generato da questa situazione, alziamo lo sguardo per vedere Gesù che non è sceso dalla croce, ma è accanto a noi per associarsi al nostro grido e soprattutto indicarci la strada verso il sepolcro che si sta aprendo. Arriva la vita del dopo Covid. Sarà meravigliosa, perché la Risurrezione è sorprendente.

P. Mario Ghezzi – PIME

Mondo e Missione – Maggio-Giugno/2020

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