Dopo Pioltello, nel profondo Nord, le suore dell’Immacolata hanno dato vita a una nuova presenza nel profondo Sud, a Rossano, dove stanno contribuendo a diffondere un po’ del loro spirito missionario

«Quand’ero a San Paolo del Brasile ero solita andare a Messa in una comunità italiana di origine calabrese che aveva portato con sé il busto della Madonna achiropita, ovvero non dipinta da mano umana, che risalirebbe al 1700. E che ora ho ritrovato qui a Rossano». Da San Paolo a Rossano Calabro, c’è un filo invisibile e sorprendente di storie, esperienze, fede e missione che unisce due angoli lontanissimi e diversissimi del mondo. Un filo che riconduce a suor Antonia dal Mas, delle Missionarie dell’Immacolata, friulana trapiantata per 19 anni in Brasile – e dopo 5 tra Milano e Monza – trasferita da sette mesi in Calabria. Per sperimentare modi nuovi e diversi di essere e di fare missione. Anche in Italia.

Con lei c’è suor Agnese Roveda che pure ha alle spalle un’esperienza nell’Amazzonia brasiliana, più qualche anno a Monza prima di accettare con passione la nuova sfida in terra calabrese. «Quando se n’è parlato per la prima volta in consiglio provinciale – ricorda suor Agnese – io sono stata subito entusiasta di questo progetto. E oggi sono molto felice di essere qui». Le Missionarie dell’Immacolata non sono nuove a questi “esperimenti”. Che, in effetti, più che meri tentativi sono frutto di una riflessione, che attraversa la Congregazione da molti anni, sul senso più profondo di essere missionarie anche in Italia, collaborando con la Chiesa locale e mettendo a disposizione il carisma e le ricche esperienze acquisite in vari angoli del pianeta per animare missionariamente anche le comunità cristiane del nostro Paese.

Lo hanno fatto nel profondo Nord, in una realtà complessa e multietnica come quella del quartiere Satellite di Pioltello, periferia della periferia di Milano. E dallo scorso novembre lo stanno facendo nell’arcidiocesi di Rossano-Cariati, in provincia di Cosenza, alle pendici della Sila. Un luogo, pure questo, difficile e stimolante.

«Abbiamo accolto l’invito dell’arcivescovo monsignor Giuseppe Satriano – racconta suor Agnese – che ci ha chiesto di contribuire a rilanciare lo spirito missionario in questa zona e in questa Chiesa. Lui ha alle spalle un’esperienza di fidei donum in Kenya e ci tiene molto a questa dimensione. Che però ha bisogno di essere coltivata e fatta crescere». Ma come? «Lavorando innanzitutto all’interno dell’équipe del Centro missionario diocesano – continua la religiosa – per promuovere riflessioni e iniziative che possano far maturare anche negli altri settori della pastorale diocesana un’autentica sensibilità missionaria». Non solo, aggiunge suor Antonia: «Cerchiamo anche di sensibilizzare i parroci della zona a una maggiore apertura e collaborazione non solo sui temi strettamente missionari, ma anche su quelli della giustizia, della pace e della salvaguardia del Creato».

Nel frattempo, le due religiose stanno cercando di “riconvertire” l’ex convento in cui vivono in un luogo di incontro, scambio e formazione: una sorta di “laboratorio” di missionarietà e spiritualità dedicato specialmente ai laici. «Per uscire da un’attitudine per certi versi ancora molto clericale e devozionale e aprirsi anche ai temi della pace e della mondialità». Il posto è bello e grande, può accogliere gruppi sino a 20/25 persone anche per dormire. Le potenzialità sono tante, tutte ancora da esplorare.

Le due religiose sono partite con grande impegno e dedizione, appoggiandosi simbolicamente all’immagine della Visitazione, ovvero di Maria ed Elisabetta che si incontrano e accolgono la vita. Con gioia. Un’immagine che è diventata un po’ il simbolo della loro presenza, incentrata specialmente sull’incontro e la relazione, ma che avrebbe dovuto «accompagnare anche il cammino delle comunità parrocchiali verso la visita pastorale del vescovo sul tema: “La vostra gioia sia piena”», precisa suor Agnese.

Lo scoppio dell’emergenza-Coronavirus, però, ha bloccato tutto. E rimesso tutto in gioco, aprendo scenari ancora da inventare.

Suor Agnese, tuttavia, ha fatto in tempo a partecipare a una delle “missioni popolari” che monsignor Satriano ha cominciato a promuovere cinque anni fa dopo un evento tragico, in cui era implicata la malavita locale. Due donne che erano andate sulle tombe dei loro cari erano state uccise per vendetta all’interno di un cimitero. Da quel momento, più nessuno aveva osato metterci piede. «Il vescovo, insieme ad alcuni sacerdoti, ha quindi deciso di fare un gesto importante – spiega suor Agnese -: celebrare al cimitero una Messa di suffragio, restituendo sacralità a quel luogo. Ma ha deciso anche di visitare, insieme ad altri preti, religiosi e laici, tutte le famiglie di quel comune, una ad una. Poi questa iniziativa è stata estesa ad altri paesi». Lo scorso anno, anche le Missionarie dell’Immacolata hanno cominciato a far parte di questa “missione popolare”. Suor Agnese, in particolare, si è recata a Bocchigliero, sui monti della Sila, insieme alla consorella suor Francesca, venuta da Pozzallo, e ad altre due suore, una filippina, Mercy, e una indonesiana, Benedetta, delle Suore Compassioniste Serve di Maria. «Mi è sembrato di tornare in Amazzonia! – esclama suor Agnese -. Anche laggiù la gente si riuniva non appena sentiva il rumore dell’auto del padre. Allo stesso modo, pure qui le persone sono aperte, accoglienti, generose. C’è grande facilità a entrare nelle case…». «Il Coronavirus, però, ci ha costretto a ripensare le nostre attività e la nostra stessa presenza – aggiunge suor Antonia -; e anche a sperimentare forme nuove di vicinanza e prossimità. Per fortuna, in questi mesi, siamo riuscite a mantenere i legami costruiti e a stimolare iniziative e riflessioni attraverso il sito della diocesi o i social. Adesso, un po’ alla volta, stiamo vivendo un’altra fase anche questa tutta nuova e da costruire passo passo».

L’accoglienza è una strada, sostiene suor Antonia. C’è ancora molto da conoscere, molto da lavorare insieme. «C’è tanta disponibilità da valorizzare – dice -, ma c’è anche molto protagonismo soprattutto da parte dei parroci. Dobbiamo riprendere la tradizione missionaria per viverla in modo nuovo, come ci indica Papa Francesco, in uscita e in ricerca. E dobbiamo imparare a ripensare il senso del tempo e a ripensarci anche in una maggiore comunione». Una bella sfida, non solo per la Chiesa di Rossano.

Anna Pozzi

Mondo e Missione n. 6 – Luglio 2020

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