Istituita dalle Nazioni Unite nel 2001 per i 50 anni della Convenzione sui profughi, la Giornata mondiale per i rifugiati, profughi e migranti forzati vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di milioni di persone che, costrette a fuggire, lasciano i propri cari, la propria patria e tutto ciò che era parte della loro vita per cercare nuove possibilità in altri Paesi. È, soprattutto, un invito a non dimenticare mai che dietro ai numeri ci sono delle persone, e che dietro ad ognuna di loro c’è una storia umana di sofferenza e di speranza. La giornata può diventare un’ottima occasione per conoscere le loro storie, attraverso i mezzi di informazione e negli incontri quotidiani con persone provenienti da altri Paesi.

Può essere un’occasione per approfondire una delle questioni più importanti del nostro presente e futuro come pianeta, dove la mobilità umana vede un aumento impressionante, sia quella volontaria in cerca di nuove prospettive, ma soprattutto quella forzata da guerre e persecuzioni, dalla povertà e dalla fame causate da un’economia escludente e dai cambiamenti climatici.

Il tema proposto quest’anno dalle Nazioni Unite: #WithRefugees (con i rifugiati), vuole dare visibilità a espressioni di solidarietà verso i rifugiati. È anche una petizione per chiedere ai governi di garantire che ogni bambino rifugiato abbia un’istruzione, che ogni famiglia rifugiata abbia un posto sicuro in cui vivere, che ogni rifugiato possa lavorare o acquisire nuove competenze per dare il suo contributo alla comunità.

È un invito che corrisponde a quello fatto a gennaio da papa Francesco, che nel suo messaggio per la giornata ecclesiale dei migranti, chiedeva una comune risposta all’insegna dell’accogliere, proteggere, promuovere e integrare

Per noi, discepoli missionari, come ci esorta Evangelii Gaudium (209-210), è un’occasione per “aver cura della fragilità”, perché è proprio nei piccoli che incontriamo Gesù (cf. Mt 25,40):

“Gesù, l’evangelizzatore per eccellenza e il Vangelo in persona, si identifica specialmente con i più piccoli. Questo ci ricorda che tutti noi cristiani siamo chiamati a prenderci cura dei più fragili della Terra. I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali”.

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